Un Cammino nel Cammino


Nel corso del nostro cammino di Santu Jacu di settembre 2012 nella zona Sassarese abbiamo avuto modo di conoscere ed essere molto aiutati nelle nostre ricerche per un percorso ottimale da Pinuccio Cannas, nativo di Ozieri e responsabile della struttura francescana di MondoX Sardegna a Sassari. Grazie a lui siamo stati ospitati nella casa di accoglienza di S’Aspru nella zona di Siligo, un’oasi in cui circa 25 persone di tutte le età fanno un loro cammino di tre anni minimo fino a cinque per reinserirsi nella società, aiutati da operatori e da quelli che sono già a buon punto nel loro “cammino”. Regole precise di comportamento e di vita lavorativa ritmano la quotidianità ed il distacco dall’ambiente abituale permette di riconsiderare il proprio status (essere) nella vita personale e sociale.

Con loro abbiamo condiviso la cena comunitaria e potuto spiegare alcuni risvolti dei nostri cammini. Devo dire che sono rimasto stupito dalla capacità lavorativa e dai risultati prodotti dagli ospiti di questa come di altre strutture di MondoX in Sardegna. Il lavoro manuale ed intellettuale, ben organizzato, aiuta a ristrutturarsi poco a poco ed a vedere i frutti del proprio lavoro ben fatto.

Camminando nei giorni seguenti sotto il solleone ho potuto riflettere al loro ed al nostro cammino. Mi sono tornate alla mente le mie esperienze e le letture sul pellegrino, l’uomo viator che va in cammino, il cammino fisico del viaggiatore che si sposta da un luogo all’altro, e la vita monastica, la peregrinatio in stabilitate, il cammino spirituale nella quiete di un monastero o di un eremitaggio.

Nelle cose che scrivo da qualche tempo sui cammini, cerco di mettere in evidenza quello che reputo un carattere fondamentale dei cammini moderni e del loro “successo”: la comunità in marcia, formata da gente di tutti i tipi e condizioni sociali, che nell’andare quotidiano supera lo status abituale della vita di tutti i giorni, per diventare esempio di comunità reale in cui persone diverse possono e vogliono condividere, superando in questo i problemi della società attuale individualista e prefigurando quella che sarà la società futura.

Per arrivare a questo risultato ci vuole il tempo dell’andare a lungo, del distacco dalla vita “normale” e da tutti quelli che sono i riferimenti e le costrizioni che abbiamo, per accettare di non sapere dove dormire, dove mangiare, chi si incontrerà e cosa si vedrà. In pratica di andare verso l’incognito come un emigrante, un esiliato, un forestiero o un senza domicilio fisso odierno. Questo é quello che si trova a dover affrontare chi inizia un suo cammino, chiudendosi dietro la porta di casa.

Ma, come nel medioevo, esiste anche un’altra forma di cammino, il cammino mentale. Dal movimento alla stabilità, dall’abbandono dei luoghi all’abbandono delle cose. Non si cerca più il santo Graal, la reliquia, il luogo santo.

La proposta l’aveva fatta, secoli prima, la teologia monastica. Di fronte alla “stabilitas in peregrinatione” offriva nel chiuso del monastero, una “peregrinatio in stabilitate” Era la forma di combinare lo “stare fisico” con il “pellegrinare mentale”. Non bisognava più andare in pellegrinaggio, bastava seguire il cammino della perfezione monastica.

Anche Dante, sempre attento alle umane cose, presenta nella Divina Comedia il suo viaggio simbolico che intraprende a metà della vita, un cammino immaginario dell’evoluzione della società tra i secoli XI e XV.

Non é l’unico cambiamento societale alla fine del Medioevo. Già dal secolo XII, il cammino, i camminanti ed il pellegrinaggio si laicizzano. I protagonisti continuano ad essere viaggiatori, gente che si muove, pero’ sono ogni volta meno pellegrini e più viaggiatori, più mercanti e meno devoti, più turisti e meno credenti, più curiosi e meno eroici, più vagabondi e meno “santi”.

In pratica, i cammini si convertono in luogo di scambi culturali e di curiosità intellettuale che si avvicinano di più ad una forma di turismo “religioso” che ad un sacrificio, ad una “vía dolorosa” e questo lo sono tutt’ora, con le dovute eccezioni.

Per questo, l’esperienza della comunità di S’Aspru di MondoX, nel chiuso della struttura, si apparenta alla peregrinatio in stabilitate, al distacco dal mondo “reale”, dagli affetti e dalle costrizioni della vita “normale” per permettere ai membri della comunità di trovare la loro strada.

Voglio ringraziarli per la loro accoglienza e la loro disponibilità.

Buon Cammino! Flavio

NB: Il testo che segue é una parafrasi del loro e del nostro cammino.

Io non sono un pellegrino nel vero senso del termine, piuttosto un camminante che visita ed osserva quel mondo là… Ma penso di poter scrivere di quelle piccole cose che succedono tutti i giorni, che si sia pellegrino, camminante o turista. Non posso parlare di grande spiritualità, ma posso descrivere i sentimenti semplici che ritmano la vita di ogni giorno sui cammini, le abitudini cosi’ normali come alzarsi e vestirsi al mattino, infilare gli scarponi, prendere lo zaino in spalla e cominciare a camminare…

La parola Peregrinus fa riferimento a « per agra » (attraverso le terre, i campi), cioé a colui o colei che abbandona la sua casa e parte in cammino, diventando cosi’ un senza domicilio fisso moderno. Ma questa parola ci lascia intravedere anche delle esperienze fuori dal quotidiano e l’apprendimento di un modo differente di vivere. Insomma, il pellegrino é colui che, affrontando pericoli e percorrendo terre a lui sconosciute, trasforma le sue esperienze in conoscenza e saggezza, vivendo fuori dai canoni «normali ».

Il cammino.

Il cammino é in realtà il nostro cammino, perché é quasi impossibile sottrarsi alla nostra propria soggettività. Passo dopo passo, seguiamo questo cammino segnato con frecce gialle e punteggiato da chiese e villaggi che alimenta il nostro immaginario privato. Il cammino va diritto o serpeggia, sale e scende, si fà rischioso o facile; sono delle circostanze che bisogna saper assumere. Il cammino é anche il risultato tra le nostre aspettative e la realtà, tra il desiderio, la voglia e la nostra resistenza fisica e mentale, tra l’incognita dell’inizio con le sue paure e speranze e la gioia della fine, dello sforzo compiuto.

Il cammino ti avvicina un poco più a te stesso, ma ti ricorda anche chi tu sei già, qui, ora, in questo momento preciso. Ad ogni passo tu arrivi ad «essere», essendolo, te stesso. Ma per questo é necessario che il nostro IO mantenga la direzione scelta marciando verso lo scopo, quale esso sia.

Uno sforzo eroico?

Ma questo luogo non puo’ trovarsi all’angolo della strada, né essere parte del tuo quotidiano, dato che appartiene a questa specie di mondo strano dove si trovano le chiavi di una possibile trasformazione. In questo andare, noi sacrifichiamo il confort per lo sforzo, il superfluo per l’essenziale. Con il nostro coraggio, un po’ d’amore e di saggezza, che non devono mancare, affronteremo tutti gli ostacoli. Non é possibile affrontare il cammino con gli stessi riti quotidiani, con le stesse esigenze della vita normale. Bisogna saper attendere il momento opportuno, l’inizio del camminare, il luogo di riposo o di pausa. Bisogna saper digiunare anche quando forse il nostro corpo non lo desidera. Bisogna saper pensare per non precipitarsi, per non dire cose che davvero non si vorrebbero dire. Il cammino ci porta alla temperanza, a una migliore gestione delle nostre forze, a meglio percepire gli altri, a essere più aperti.

Una lotta dopo l’altra.

Il cammino é lotta, ma appare anche come un gioco iniziatico, preparazione alla vera lotta che é la nostra propria vita. Essere qualcuno, riuscire, formare una famiglia, studiare, coltivare le proprie amicizie e participare a questa società mobile e mutevole, non é davvero facile. Cosi’, alla fine del cammino, ci aspetta la ripresa della lotta, la vera lotta, ma con un po’ più di forza di prima.

Citius, altius, fortius.

E’ curioso che la competizione come spettacolo consista nel correre più forte, saltare più alto, sollevare più peso o lanciarlo più lontano. Se possiamo misurarli, allora hanno un valore. Senno’, no? E’ come se si discutesse del valore dell’amore o della libertà… non hanno prezzo… Noi viviamo nel mito della velocità: se tu sei rapido, sei OK. Lavorare velocemente, viaggiare velocemente, acquistare velocemente. Gli umani come le formiche, miniaturizzati. Si legge molto poco, si scrive male, molte poche idee e troppe opinioni. Niente sfumature nei discorsi, niente ascolto, troppi dogmi e verità non dimostrate, « visto alla televisione » diventa l’accettazione supina di ogni bufala.

Tu prendi un aereo ed in un’ora sei su di un altro continente, con un altro clima, altra gente ed altri usi e costumi. Ma il tuo spirito é più lento del tuo cervello, come assimila questi cambiamenti?

Il nomade d’altri tempi, il camminante dei tempi andati viaggiava a piedi od in carretto, in barca a vela o cavalcando. Attraversava le contrade con la lentezza dei pianeti, aveva il tempo per mangiare, dormire, discutere in ogni villaggio, in ogni feudo.

Questo aereo o questo treno superveloce ci portano talvolta ad una certa arroganza.

Il cammino ci obbliga a ritornare a una dimensione perduta, più umana: quella del camminare. Il pellegrino non dimenticherà mai che cosa significhi marciare per 20-30-40 km al giorno. Né lo dimenticheranno i suoi piedi indolenziti. Ma in questa calma andatura, in questo paesaggio di rocce, pietre, campi, passo a passo, si ritrova la libertà. Anche se dipendenti da un sistema tecnologico, da una automobile e dagli interruttori che fanno funzionare tutto, il camminare é per qualche settimana la liberazione dalle strutture societarie moderne.

Punti mobili.

Ogni persona sul cammino é un punto mobile che transita . Ogni punto lascia una traccia nel suo andare ed apre un orizzonte con il suo sguardo. Ogni camminante, nella sua andatura, resta fedele al suo carattere. Si viene da un posto (da dove vieni ?) e si va verso un altro (dove vai ?). Noi siamo una inerzia del passato ed una proiezione verso il futuro, anche se l’inerzia e la proiezione sono in fondo due lati della stessa cosa. Il cammino puo’ seguire una linea dritta o perdersi in un labirinto, dei meandri che vanno e vengono senza un senso reale. Come nelle ragnatele, nei miraggi e nelle illusioni del cammino si fanno intrappolare le personalità immature, i sogni distrutti dalla durezza del mondo. Sul cammino ci sono dei salvatori e delle vittime, dei templari fantasiosi, delle arpie hospitaliere, dei bonzi del bordone e dei cammini, dei fissati per il cammino. E’ cosi’, ognuno con la sua pazzia ed ognuno con la sua specificità, leggeri o gravi. Come se, tra di noi tutti, ci fossimo messi d’accordo, tacitamente, per interpretare ciascuno un ruolo. Tu il pellegrino, io l’hospitalero, tu lo straniero ed io l’abitante.

Ogni personaggio che noi incontriamo sul cammino é una opportunità da prendere per scoprire il nostro proprio personaggio, la nostra propria pazzia, la nostra finzione di vita, e cosi’, trovare una via d’uscita verso la saggezza.

Presenza.

Dal cammino sgorgano molte cose, tra esse, oh sorpresa!, affiora l’allegria ed il canto. Per momenti, la presenza della natura ti fa percepire una cosa cosi’ evidente: che tu fai parte della vita. Una cosa cosi’ semplice e nello stesso tempo cosi’ profonda. Ed allora si puo’ cantare, sorridere, essere felici, aprirsi… Sgorgano pure vecchi pesi, rimorsi, fallimenti e sconfitte, perché il passato cosi’ presente trova delle fessure per uscire e poter essere risolto, infine, forse… Nella misura in cui le cose che si sono represse o negate risorgono, si puo’ adesso gettarle via nel vento perché le cancelli senza riserve in questa luce cosi’ forte di questa natura cosi’ grande che ci circonda, e le piccole cose ci sembrano ora cosi’ piccole e cosi’ meschine e cosi’ ridicole.

Ma anche sgorgano le nostre speranze, le nostre illusioni ed i nostri desideri. Appare la tentazione di riempire un vuoto vitale presente che non é un vuoto, ma una crepa dell’anima che il nostro ego non sopporta più. Il fatto é che il nostro desiderio si nutre della nostra insoddisfazione ed a questa ritorna in modo irrimediabile. Nello stesso modo in cui il cammino ci insegna a camminare con i nostri due piedi, a sopportare le nostre carenze, cosi’ il vuoto della nostra vita non puo’ essere sostenuto che dalla presenza altrui, dalla loro amicizia, dalla loro compassione, dal loro ascoltarci, dal loro appoggio, dalla loro simpatia.

Dice il poeta che si fà il cammino andando. Il cammino si fà con ogni passo, dandogli un senso. Ed ogni passo ti avvicina o ti allontana dal tuo destino, perché non sempre posiamo bene i nostri piedi. Ci sono dei posti del cammino dove ci si perde ed altri dove ci si ritrova. Chiaro che questo, nel nostro cammino interiore, dipende dai nostri punti deboli, dai nostri complessi, dalla nostra coscienza che va e viene, dall’armatura che ci siamo costruiti un giorno. Esistono dei punti di arrivo, esistono i differenti punti di partenza. Esistono i rifugi e le frecce gialle e gli amici del cammino che le tracciano. Grazie a tutto questo, si puo’ camminare. Il cammino non sarebbe lo stesso senza le leggende dei pellegrini, i lupi ed i briganti…ed anche i miracoli e le furbizie. Questo cammino che fu passaggio di genti dei differenti popoli, questo cammino che costrui’ villaggi, trasformo’ culture, questo cammino é qui…